Di Camilla Rocca
Siamo governati dal caso, o dal destino, qualcuno addirittura direbbe dalla provvidenza, certo è che il nobile veneziano Pietro Querini non si aspettava di rivoluzione i gusti gastronomici d’Italia, quando salpò nel 1431 per portare la sua Malvasia da Creta, la florida Candia, nelle Fiandre. Il suo naufragio a Røst, nell’arcipelago norvegese delle Lofoten, pose il pilastro tra prima e dopo lo stocco, il futuro apprezzato (e facilmente conservabile) baccalà. Si parla di cucina meridionale e mediterranea come la migliore, conosciuta in tutto il mondo, relegando alle trattorie e alla tradizione familiare la cucina del nord Italia.
E così l’intento di Røst vuole essere in controtendenza, un ritorno alla tradizione, all’essenziale, anche nel piatto. Verdure e tagli poveri sono i protagonisti di una formula di porzioni ridotte, a un prezzo leggermente inferiore al mercato circostante, attenzione all’estetica e alla ricerca di piccoli produttori di qualità, una formula che non può che essere vincente e che già porta tanti appassionati in via Melzo a Milano. Nasce così Røst, il bistrot che ricorda la gloriosa attraversata dei mari del nord di Querini (e dall’isola nella quale è approdato) e la nascita di un’autentica cucina del nord Italia, ricca di tagli poveri, dimenticati e non più “di moda”. Una cucitura (o per meglio dire una ricucitura) del rapporto tra memoria e sapore, a cui si affianca una carta vini e vignaioli, con oltre 170 etichette “autentiche” provenienti da agricolture naturali e rispettose della terra, con il racconto dei vignaioli che le hanno prodotte. Tre giovani sono a capo del progetto: l’imprenditore Hippolyte Vautrin, già patron del ristorante Kampai, Enrico Murru, responsabile di sala o, come ama definirsi, “capitano di cantina e cambusa” e Lucia Gaspari, veronese ed eclettica, una formazione artistica, alla ricerca del vero nel segno e nel piatto, per approdare alla sua visione di cucina sostenibile.
Difficile raccontare di piatti imperdibili, perché il menu ha un turnover giornaliero o settimanale, in un’ottica di freschezza, stagionalità e di non spreco delle materie prime: bisogna essere pronti a buttarsi in questa cucina di viaggio e dai sapori autentici, anche tornando e ritornando. “Piatti effimeri, quanto belli” ama definirli Enrico Murru. Immancabile il baccalà, che cambia in continuazione, divertissement per il palato, proposto con rapa dal colletto viola e finocchietto. La regola dei tre ingredienti è sacra per Lucia Gaspari. Piatti che forse non risultano belli, ricercati dal punto di vista estetico, ma di ottima sostanza, con gusti concentrati e incisivi. O ancora i mondeghili, sacri nella cultura lombarda del riciclo. Se non vi piacciono le interiora, date una possibilità al fegato di vitellona di Røst, un taglio che potrebbe stare, fieramente, nella tavola di un gran ristorante, accoccolato sotto una gustosa coltre di mandorle di Toritto. Per chi cerca golosità allo stato puro, la scelta non può che cadere sull’uovo del contadino: uova di Selva con radicchio, carota di Polignano e stracchino all’antica delle valli Orobiche.
Ci si potrebbe aspettare di essere avvolti dall’atmosfera di un’osteria con queste premesse, e questa è la sensazione che hanno voluto trasmettere lo studio di architettura che ha curato questo progetto, Vudafieri- Saverino Partners, specializzati nel design per la ristorazione (basti pensare che sono gli artefici di Spica, Aimo e Nadia, Peck in Citylife, Berton, Dry, solo per citare i milanesi): intimità, un luogo raccolto, a metà strada tra la tradizione e l’immancabile modernità che una città come Milano richiede. Toni caldi, dominati dal rosso Marsala, un richiamo ancestrale al rapporto tra uomo, vino e terra. Ma anche marmo, ottone, velluto e pelle e un grande banco bar centrale che accoglie il viandante moderno. Al contrario il pavimento originale, l’edificio vecchia Milano, il negozio di ricambi d’auto preesistente, il seminato in tozzetti di porfido creano quella continuità con il passato che culmina nel lampadario assemblato con diversi fanali di vetture popolari e di lusso, che si colloca proprio di fronte alla moderna cucina a vista. Senza dimenticare l’arte: alle spalle del banco bar una parete cieca, da scoprire, con una “tenda di colori”, Terrazzo dell’artista Roberto Coda Zabetta, per richiamare l’attenzione al presente più spinto.
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