Quarantamila professionisti nella ristorazione e 20.000 nella logistica: la mancanza di personale è uno degli ostacoli più gravi sulla via della ripresa nel mondo del foodservice. Sul tema si è espresso chef Alessandro Borghese sulle pagine di Cook, che ha parlato in maniera laica e equilibrata del problema che vive sulla propria pelle, non potendo tenere aperto un giorno in più alla settimana proprio a causa dell’assenza di candidati (all’altezza): “Con la pandemia ho perso figure che stavano con me da oltre dieci anni”.
Fame di garanzie
I giovani ora vogliono garanzie: “Io sono d’accordo, dobbiamo dare prospettive a chi si affaccia a questo mestiere, prima era sottopagato”, ha detto il cuoco romano. Che poi ha aggiunto: “Sono alla perenne ricerca di collaboratori: vorrei tenere aperto un giorno in più, il martedì, e aggiungere il pranzo anche in settimana. Ma fatico a trovare nuovi profili, sia per la cucina che per la sala“. Secondo lo chef 45enne, non è in crisi la figura del cuoco, ma ci si è accorti che non è un lavoro tutto televisione e luccichii. Si è capito che è faticoso e logorante. E mentre la sua generazione era cresciuta lavorando a ritmi pazzeschi, oggi è cambiata la mentalità: chi si affaccia a questa professione vuole garanzie. Stipendi più alti, turni regolamentati, percorsi di crescita. Insomma: in cambio del sacrificio di tempo, i giovani oggi chiedono certezze e gratificazioni. Peraltro lo riconosce lo stesso Borghese: “In effetti prima questo mestiere era sottopagato: oggi i ragazzi non lo accettano“.
Nessuno ha la ricetta per uscire da questo cul de sac ma di certo qualcosa va fatto per non gravare sulla ripresa: “Sicuramente bisogna lavorare in modo diverso”, propone Borghese “Sta già succedendo: io ero aperto sette giorni su sette pre-pandemia, adesso cinque. Vorrei tornare a sei, ma comunque terrò chiuso un giorno. Il riposo e i turni sono fondamentali e noi chef, che siamo brand ambassador della cucina italiana, dobbiamo ascoltare le richieste dei ragazzi e delle ragazze che rendono possibile il nostro lavoro”.
Il peso dell’incertezza sull’hotellerie
Dichiarazioni che trovano sponda anche in quelle rilasciate alla stampa da Graziano Debellini, presidente di Hotelturist, che sintetizza il suo pensiero sul tema della mancanza di addetti nell’hotellerie così: “Meno tasse e più stipendi”. Secondo il manager bisogna partire dalla considerazione che c’è stato un vero e proprio shock nel mondo del turismo in seguito ai lockdown e alle chiusure degli hotel per l’emergenza sanitaria. Questo ha indotto nei lavoratori del settore un’enorme incertezza rispetto ai loro progetti. In soldoni, a detta del presidente dell’azienda titolare del brand Th Resorts, ci si è chiesti: “Ma c’è ancora un futuro in questo comparto? E questa incertezza ha riguardato posizioni trasversali”.
L’emorragia del lavoro ha riguardato sia la fascia degli operatori dei servizi di base come le cameriere e l’housekeeping, sia la fascia che contempla alcune figure direzionali e gli chef, che hanno un reddito a volte assai importante. In questo contesto, il reddito di cittadinanza per Debellini non è la ragione della crisi del lavoro ma è una concausa. Pur riconoscendo che si tratta di un istituto che ha aiutato molte persone in stato di povertà che non va abolito, è necessario però modificarlo. Come? Intanto non rivolgendolo ai giovani in cerca di lavoro. Certo non basta: bisogna anche ripensare al modello retributivo e aumentare gli stipendi, rispettando i contratti di lavoro nazionali. Per il presidente nel settore la marginalità è bassa, tocca allo Stato fare qualcosa, cioè cambiare le tasse sul lavoro nel turismo, agendo sul “famigerato” cuneo fiscale che mette l’Italia in una condizione di svantaggio rispetto ad altri Paesi europei. Peraltro, anche l’immobiliare dovrebbe fare la sua parte diminuendo gli affitti, che per essere sostenibili non dovrebbero superare il 20% dei ricavi.
AAA soluzioni cercansi
Non va neppure trascurata la formazione, che potrebbe “saldare” le interruzioni stagionali che caratterizzano il percorso lavorativo di molti addetti dell’hotellerie, creando maggiore qualificazione. Non basta: non sono sufficienti le scuole alberghiere, ma occorre anche una formazione di livello universitario per il mondo dell’ospitalità. Infine, secondo Debellini, la digitalizzazione non sostituirà il fattore umano, perché la sua introduzione è tesa a semplificare i processi e ad aumentare il tempo per le relazioni: partendo dal presupposto che il cuore del settore è l’accoglienza, la capacità di accompagnare l’ospite e di offrire servizi, anche conoscitivi verso la destinazione è possibile che, se da un lato le attività manuali potrebbero ridursi in futuro, altre a maggior caratura di assistenza e accoglienza potrebbero nascere e perfezionarsi.