La febbre da “evento” non accenna a placarsi. Tra food blogger, influencer, event manager e altri ruoli più o meno emergenti (o talmente emersi da essersi già consumati, nonostante i tanti follower sui social), l’attenzione che viene data quotidianamente a centinaia e centinaia di manifestazioni, presentazioni, conferenze stampa, rassegne gastronomiche ecc. ecc. è strabordante. Eccessiva, direbbe qualcuno, premurandosi di dire subito che si tratta del suo punto di vista, e non di un dato oggettivo e conclamato, per non dire evidente. In realtà mi verrebbe da dire, senza alcuna remora, che la quantità di “eventi” o cosiddetti tali, è francamente esagerata, spesso senza capo né coda; cosa ancora più antipatica, la gran parte di essi risulta venire organizzata senza un motivo preciso, senza una storia vera da raccontare (e ascoltare, e comunicare), senza un contenuto ragguardevole e preciso, senza un senso compiuto, insomma. Se non quello di coinvolgere numeri elevati di partecipanti (quando accade), senza neppure indagare sulla qualità degli stessi. Presumendo soprattutto di avere dei ritorni-stampa generici. E’ il numero che conta, mamma mia, non la qualità. C’è il tale evento, al quale non si può mancare. Chi non ci viene non esiste. Stop. Questo approccio, ancora molto diffuso, ci pare vecchio, obsoleto, per non dire arcaico. Il mondo è cambiato, continuiamo a ripetercelo ed è sotto gli occhi di tutti: non si può ragionare ancora con le vecchie logiche alfanumeriche. Contano la selezione, la mira, la qualità dei contenuti che si vogliono comunicare, conta il valore delle relazioni e dei contatti, conta la profondità di un rapporto concreto che si viene a creare, ma anche la qualità di chi poi deciderà se e come informare i propri lettori. Ci sono agenzie di pr che esibiscono ai loro committenti database di invitati (o imbucati) a questa o quella presentazione, che spesso non scrivono una riga di articolo da anni, ma sono molto bravi a millantare esperienze, competenze, relazioni. Che in realtà non possiedono. E non sarebbe ora di aggiornarli, ‘sti database? Le aziende più serie, alla fine, si accorgono di questo bluff. E cercano di avvalersi di collaboratori di alto livello professionale, dotati di capacità critica, li cercano “col lanternino”, in continuazione, fanno selezioni incredibili prima di scegliere a chi affidare la propria comunicazione corporate o di brand. Questo caratterizza il momento che stiamo vivendo: la ricerca esasperata di contatti di qualità, finalizzati ad aumentare le conoscenze e ad implementare i business reciproci. Con stile, cultura, rispetto, serietà. E con una priorità assoluta: i contenuti di livello, insieme alla credibilità delle persone e al contatto diretto. Certo, un evento di livello può essere utile alla causa, ma non deve essere una vetrina autoreferenziale, o un circo numerico di partecipanti da esibire, magari richiamati dal “regalino” per la stampa o dal fatto di poter accedere alla cucina di uno chef difficilmente avvicinabile in altro modo. Anche noi, ovviamente, facciamo eventi, ci mancherebbe. Si tratta però di momenti di incontro con la nostra comunità di lettori, con le aziende e con i professionisti, ma anche con gli opinion maker, affinché lo scambio di idee, esperienze, competenze sia la base per costruire delle storie autentiche, un percorso comune, pur nella diversità dei ruoli e degli obbiettivi. Con protagonisti, sempre, i contenuti di qualità, le storie vere, le relazioni schiette e approfondite. Anche così, credo, si aiuta la società a comprendere i cambiamenti in atto.
Alberto P. Schieppati