Pur essendo la più autorevole delle guide gastronomiche, la Michelin 2015, recentemente presentata a Milano al Principe di Savoia, non ha offerto novità sconvolgenti, fatta eccezione forse per la nuova App gratuita. Segnale di maturità, certo, ma anche di una carica innovativa (sul versante delle “nuove scoperte”) che, diciamocelo francamente, risulta inferiore alle aspettative. Su un totale di 6.500 esercizi segnalati sulla guida, come ha ricordato Michael Ellis durante la presentazione, soltanto 27 sono le nuove stelle e solo 2 (due!) i nuovi ristoranti a due stelle, ovvero: il Piccolo Principe di Viareggio e la Taverna Estia di Brusciano (Na). Molti neostellati (come, per esempio, Silene o Lido 84) sono stati oggetto di articoli giornalistici sulla nostra rivista e ci fa quindi piacere vederli premiati. Ma complessivamente la guida segue binari consolidati, più vicini ad una logica di riconferme che ad una effettiva ricerca sul territorio, alla scoperta di nuovi talenti o di appassionati professionisti ( e ce ne sono tanti, in questa Italia affaticata dalla crisi). Tutti riconfermati i ristoranti a tre stelle, mentre crescono numericamente (1.330, la metà dei ristoranti selezionati) i locali che “offrono un pasto semplice” a meno di 25 €, ma solo a pranzo. Sarà interessante verificare, durante le nostre visite per la rubrica “i ragionevoli” di Artù se tale indicazione corrisponderà sempre al vero e se i ristoratori osserveranno questa regola del price for value. Dunque, una guida “giudiziosa”, che non ama stravolgere il proprio stile di lavoro (e questo è apprezzabile) ma che, al contempo, non esita a elidere stelle importanti, come quelle della Tenda Rossa, del Symposium, di Agata e Romeo, solo per citarne alcune. Ristoranti di grande storia, condotti da professionisti di indiscusso valore che si vedono declassati, ridimensionati allo stesso livello di ristoranti più ”normali”, connotati da un’offerta spesso ferma nel tempo e talvolta priva sia di innovazione che di vero rispetto per la tradizione. Peccato. Qualcuno poi pensava che con la nuova direzione della guida ci sarebbe stata maggiore attenzione verso aree non sufficientemente indagate (come le zone dei laghi lombardi, Como in particolare, che vedono un notevole fermento culinario e che non sono affatto “ferme” come qualcuno erroneamente crede). Un’ultima nota: abbiamo accolto con soddisfazione l’assegnazione della stella al ristorante di cucina giapponese Iyo di Milano, uno dei nostri preferiti, ma ancora non comprendiamo (e lo diciamo senza alcuno spirito polemico) perché l’Acanto, il ristorante guidato dal bravo chef Cadei, non abbia ancora meritato la stella. La sensazione è che Michelin non ami la ristorazione d’albergo, pur avendo scelto il Principe di Savoia per la propria presentazione, seppure espressa – come nel caso dell’Acanto – a livelli molto elevati. E su questo ci permettiamo di dissentire. APS
© Artù